L’assegno divorzile non ha più la funzione di garantire la conservazione del tenore di vita matrimoniale. Secondo il nuovo orientamento della Cassazione (sentenza Sezioni unite n. 18287/18) la sua funzione è quella di assistere l'ex coniuge privo di mezzi adeguati per vivere un'esistenza autonoma e dignitosa.
Le Sezioni unite del 2018 hanno tuttavia evidenziato l'ulteriore e concorrente finalità compensativa o perequativa dell'assegno ma nei soli casi in cui vi sia la prova – di cui è onerato il coniuge richiedente l'assegno – che la differenza reddituale in essere all'epoca del divorzio sia direttamente causata dalle scelte di vita concordate tra ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune (conformi le sentenze della Cassazione n. 10781 e 10782 del 2019).
Dunque ai nostri giorni, l'attribuzione e la quantificazione dell'assegno non sono variabili dipendenti soltanto dalla differenza del livello economico-patrimoniale tra gli ex coniugi o dall'alto livello reddituale del coniuge obbligato, non trovando alcuna giustificazione l'idea che quest'ultimo sia tenuto a corrispondere tutto quanto sia per lui "sostenibile", quasi ad evocare un prelievo forzoso in misura proporzionale ai suoi redditi.
L'assegno, secondo altra recente sentenza della Suprema Corte (Cass. civ. Sez. I, Sent. n. 24932/2019), dev'essere invece attribuito e determinato solo al fine di soddisfare esigenze di una vita dignitosa del coniuge richiedente, che devono tenere conto anche delle aspettative professionali sacrificate, in base all’accordo con l'altro coniuge, per avere dato un particolare e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell'altro coniuge. Il che è stato da ultimo confermato anche dal Tribunale di Salerno con sentenza del 10 marzo 2020 n. 916.