In tema di procedimenti penali aventi ad oggetto i reati edilizi di cui al D.P.R. n. 380/2001, La Corte di Cassazione ha evidenziato che la violazione anche di norme civilistiche, quali i limiti al diritto di proprietà in tema di distanze, volumetria ed altezza delle costruzioni, legittima i vicini confinanti ad esercitare l'azione civile finalizzata alla condanna al risarcimento dei danni, essendo in tal caso ipotizzabile un danno patrimoniale che dà luogo all'azione di risarcimento del medesimo. In motivazione la Suprema Corte, richiamando il disposto dell’art. 29 D.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso ed alle modalità esecutive stabilite dal medesimo, ha affermato che tale responsabilità non è esclusa dal rilascio del titolo abilitativo in contrasto con la legge o con gli strumenti urbanistici. A maggior ragione, secondo la Cassazione, la detta responsabilità non è esclusa in caso di intervento realizzato direttamente in base a denunzia di inizio di attività, atto non pubblico proveniente dal privato e non dalla pubblica amministrazione e ciò a prescindere dalle determinazioni che quest'ultima possa assumere al riguardo se l'opera realizzata costituisce attuazione del programma progettuale ed è dunque riconducibile all'ideazione del committente (Cass. pen. Sez. III, Sent., 11/03/2016 n. 10106).